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Capovilla, la valorizzazione della biodiversità italiana

Aggiornamento: 26 mar 2021

Vittorio Gianni Capovilla – Capovilla Distillati





La massima sfida di un distillatore: riuscire ad estrarre l’anima – la quintessenza – dalla materia prima, dalla frutta.


«Tutto nasce da un’equazione semplice: se parto da una materia prima eccezionale, l’unico rischio è quello di rovinarla…io tutto sommato non invento niente.» Vittorio Capovilla

Relatore


Gianni Capovilla, il distillatore che tutto il mondo ci invidia.

Come è nata questa passione per i distillati?

«Mi è venuta… anzi mi è capitata addosso per caso nel ‘74, anno in cui ho iniziato ad occuparmi di macchinari per l’enologia. Seguivo un’azienda per il mercato estero, in particolare Svizzera, Germania e Austria, dove effettivamente c’è una cultura diversa della distillazione rispetto a quello che succede in Italia. Per citare due numeri… la Germania ha qualcosa come 30.000 distillerie, l’Austria ne ha addirittura 90.000 e hanno ancora di diritti di Maria Teresa d’Austria. In Italia ci sono meno di 120 distillerie. Si capisce che in qualche modo la cultura della distillazione, in particolare la distillazione artigianale a bagnomaria, sta da un’altra parte.

Questa cosa è nata come argomento di discussione in fabbrica con gli operai. In questa piccola azienda (con 40 operai) tutti avevano l’ambizione di distillarsi qualcosa in casa, di fare la grappa di contrabbando. Ovviamente non conoscendo esattamente come era fatto un alambicco che distilla bene, costruivano dei contenitori, dei bollitori in acciaio inossidabile, belli e lucidi, che però non riuscivano a produrre niente di buono. E così, io cercavo di dir loro, “guardate che, io che frequento paesi dove se ne vedono in ogni casa”.

Ho cercato di capire come deve essere fatto un alambicco per funzionare bene. Le proporzioni, l’elmo, i metalli usati per la costruzione, hanno un’ importanza non da poco, nel senso che il rame in particolare, esattamente dove è il bollitore, fa un’azione catalizzatrice di determinate sostanze. Io cercavo di spiegare loro tutte queste cose. Il rame non era utilizzato per la costruzione di questi macchinari moderni per l’enologia, e così, quasi per scommessa con questi miei colleghi di lavoro, ho trafugato a pezzi un alambicco che ho acquistato in Austria, perché a quei tempi le frontiere … erano proprio frontiere e così un pezzo alla volta l’ho portato a casa.

Ho iniziato a distillare per scherzo, tanto per verificare e mettere a confronto quello che ne usciva da un distillatore “fatto per il giusto scopo” e non uno costruito in casa.

È un percorso che dura da oltre 30 anni. Girando e parlando con la gente, scopri un sacco di cose. Curiosità e interesse creano dei nuovi percorsi e ti fanno fare un poco di strada in più. Ma il tutto nasce da un’equazione semplice: con gli esperimenti che facevo, avevo capito che più buona era la frutta, migliore era il prodotto finale. Se parto da una materia prima eccezionale, l’unico rischio è quello di rovinarla … io tutto sommato non invento niente.

La mia non è una missione, è un piacere. La missione può essere un sacrificio, il mio è si un lavoro duro, però il lato positivo e “leggero” è sicuramente prevalente su tutto il resto.»


 

La Conferenza Craft Distilling Italia 2020, 28 ore di contributi dei protagonisti della distillazione artigianale italiana e mondiale, è disponibile su craftdistilling.it.

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